Abstract
Sostenere la complessità, significa riuscire a interpretarla. Un creare mondi, che, nonostante l’enorme potenza di calcolo raggiunta oggi dai computer, rimangono a carico dell’utente. Almeno, fino a quando la scelta, si situa al di fuori delle dinamiche di mercato. Al problema dell’interpretazione si lega quello della categorizzazione. Senza categoria, senza riferimento, non c’è lettura del mondo. Il cambiamento che stiamo vivendo esprime qesto paradosso. L’assenza di punti fissi, spavnta. In questo, il valore di un’Arte che non sia puro e semplice artigianato, ma avanguardia, apripista, di nuovi mondi. L’Arte, si presenta come mezzo principe per educare alla complessità attraverso lacompresenza degli opposti, il sostentamento del paradosso. L’Arte porta in evidenza, le possibilità, gli accenti, le potenzialità che la realtà ha da offrire. Sarà il tempo poi a selezionare i mondi he meglio hanno saputo descrivere questa nostra epoca. A noi, è dato solo creare. Il capire. Arriverà.
Introduzione
L’inaugurazione dell’anno accademico 2015/16 presso la facoltà di Ingegneria alla Sapienza si è aperto con l’annunciazione della creazione nei prossimi anni di un nuovo Corso di Studi: Analisi dei Big Data. Di qualche settimana fa, l’annuncio della nascita del primo Istituto secondario di Robotica. Solo un mese fa, il primo Fab Lab in una scuola pubblica. Nel 2015, di 1000 i corsi professionalizzanti offerti gratuitamente dalle Regioni per introdurre i giovani ai nuovi mestieri del Web: Social Media Manager, Storyteller, Digitalizzatori. Nei CV, alle competenze specifiche della propria area professionale, si affiancano ora nuove competenze, indicate come “trasversali”: empatia, problem solving, comunicazione.
Nuovi mestieri, per “nuovi” saperi. La realtà sta cambiando. E con essa, le categorie per interpretarla. Con l’emergere della complessità emergono le incoerenze che le tradizionali tassonomie hanno da sempre portato in grembo. A parità di dati infatti, esistono n possibili criteri di categorizzazioni, dettate dal modello mentale del classificatore stesso, che ritiene di volta in volta, un certo criterio di ordinamento, prioritario rispetto ad altri1. Priorità dettate da una sua particolare visione delle cose, una cultura, o un pensiero, differenti da quelli di altri classificatori.
Come insegna la psicologia della Gestalt, non esiste alcuna figura se non sulla base di uno sfondo su cui si situa. Già Foucoult in Le Parole e le Cose, affermava “Non esiste, nemmeno per l’esperienza più ingenua, nessuna similitudine e distinzione che non siano risultato di un’operazione precisa e dell’applicazione d’un criterio preliminare.”
Lackoff spinge ancora oltre la questione quando nell’analizzar le categorizzazioni del Dyirbal, lingua aborigena australiana, arriva alla conclusione che gli elementi duna categoria sono spesso tenuti assieme non da relazioni logiche, di tipo aristotelico (insieme di proprietà condivise), ma da modelli di tipo analogico, come la metafora, e la metonimia – legate a loro volta, alla cultura e alla visione del mondo che una certa lingua porta con è.
Esempio classificazione in lingua Dyirbal:
Bayi: gli uomini, i canguri, gli opossum, i pipistrelli, gran parte dei serpenti, gran parte dei pesci, alcuni uccelli, gran parte degli insetti, la luna, gli uragani, l’arcobaleno, i boomerang, alcune lance, ecc.
L’incoerenza che pertanto riscontriamo nella categorizzazione borgesiana, deriva da una visone del mondo occidentale-centrica derivata dalla logica delle lassi, di Aristotele (insieme delle proprietà condivise).
Il modello metonimico – metaforico, spiega invece come gli elementi di una classe non giacciano tutti sullo stesso piano, ma possano essere più o meno “centrali”, cioè più o meno rappresentativi, della classe stessa.
Se dunque secondo la logica Aristotelica, la Classe (categoria) è un contenitore astratto (ciascun oggetto della collezione sta dentro o fuori tale contenitore, senza alcuna via di messo) l’appartenenza o meno di un oggetto a una classe è determinata dalla presenza o meno di certe proprietà, che tutti i membri della classe condividono che identificano la classe stessa.
Questa classificazione implica che:
- Ciascuna classe abbia chiari confini;
- Sia indipendente da colui che opera la classificazione;
- Nessun elemento della classe abbia uno statuto speciale rispetto agli altri.
Viceversa, dalla classificazione Dyirbal emerge che:
Gli elementi che appartengono alla stessa classe, possiedono un insieme di proprietà condivise
All’interno di una medesima classe vi sono elementi che sono piu centrali e quindi rappresentativi della classe stessa, e che fungono da prototipi della classe
Gli elementi centrali di una classe sono legati agli altri membri non centrali mediante meccanismi di concatenazione analogici (similitudine, metafora, metonimia)
Molti sistemi di classificazione possiedono una classe altro destinata ad accogliere tutto ciò che non ricade nelle altre classi. Nel Dyirbal esiste in effetti una classe “eccetera”
Ora se esistono più schemi per classificare una stessa collezione di elementi, in base a quale criterio, conviene scegliere l’uno piuttosto che l’altro schema?
In entrambi i casi, Foucault, Lackoff, e gli altri, insegano che uno schema di classificazione, non può essere valutato in astratto mediante criteri a priori. Viceversa, sia la sua scelta, sia la sua coerenza, vanno sempre commisurati un paradigma empirico, quello proprio del contesto, della cultura, e della visione del mondo che ha prodotto quel sistema di classificazione. Vale a dire, che ogni schema di classificazione, va commisurato al contesto, agli obiettivi, al pubblico sui è destinato.
Donna Maureer, nel suo intervento al summit internazionale ha sintetizzato le conseguenze che la ricerca di Lackoff comporta per l’architettura dell’informazione:
- Non esistono classificazioni giuste o sbagliate, ma più o meno appropriate a un certo uso
- Categorie miste, o ibride esistono davvero nella nostra mente, anche se può non essere agevole impiegarle in un menu di opzioni fisico (fisico o digitale che sia)
- Qualunque combinazione o schema si scelga, non otterremo mai un confine netto fra le varie classi, ma solo fra i loro elementi centrali (i prototipi della classe)
(IMG RETI/PROTOTIPI)
In architettura dell’informazione si parla pertanto di:
processi top-down , quando le classi di un dominio sono ricavate operando raggruppamenti di dettaglio via via crescente, secondo una sorta di processo deduttivo dall’altro verso il basso.
processi bottom-up, quando le classi di dominio sono ricavate operando raggruppamenti di dettaglio via via decrescente, secondo una sorta di processo induttivo dal basso verso l’alto.
Nella realtà questi due processi tendono spesso a mescolarsi.
La teoria dei prototipi suggerisce un’integrazione ancora più spinta dei due approcci. Cominciare il processo di classificazione dal mezzo cioè dalle classi di livello base.
Cosicché nel processi di costruzione di una tassonomia, si può partire dalle categorie di livello base, raggruppandole da un lato in categorie di livello superiore, e scomponendole dall’altro, in categorie di maggiore dettaglio secondo un processo up & down.
1 Luca Rosati Architettorua dell’informazione Apogeo, 2018